IL PIANO ANTI INFLAZIONE NON INCONTRA IL FAVORE DEI PASTAI

Dopo il flop di Lollobrigida al tavolo grano-pasta, anche il suo omologo Urso non è riuscito nel suo intento di calmierare i prezzi a seguito dell’inflazione. Mentre Barilla avrebbe a cuore più i consumatori francesi che quelli italiani. Cosa ne pensa l’antitrust?

Dopo un anno e mezzo di inflazione, oggi al 6,4% in Italia, e un carrello della spesa al 10,4%, il ministro del made in Italy Urso ha proposto un accordo su un trimestre anti-inflazione a partire dal 1° ottobre al 31 dicembre.

Il «trimestre anti inflazione» su una serie di prodotti di prima necessità a prezzi calmierati in negozi, super e ipermercati aderenti all’iniziativa nasce però già monco e rischia di affondare ancor prima di partire. Il primo motivo è relativo alla durata: nelle stime più diffuse si dice che l’inflazione durerà anni. A che servono solo tre mesi?

Il secondo motivo è che al momento, c’è solo una lettera di intenti sottoscritta da alcuni soggetti della distribuzione commerciale. Un impegno generico a promuovere presso le imprese associate iniziative di calmierazione dei prezzi. Ovviamente non ci sarà alcun obbligo e tutto sarà lasciato alla libera decisione delle imprese.

La misura non è stata accettata dai pastai. 

Il terzo motivo è che i pastai si sono defilati con la scusa della volatilità dei prezzi delle materie prime. Già tra il 2017 ed il 2019 si era verificata un’asimmetria dei prezzi a monte e a valle della filiera. Nella fase di aumento della materia prima, la pasta aumenta rapidamente, nella fase di riduzione la reazione è lenta e avviene con ritardo e con bassa intensità. Il risultato allora fu di un impatto sui prezzi al consumo della pasta che – dopo essere cresciuti del 27% – si sono assestati, ad un livello più alto di circa il 25% rispetto alla fase precedente. La riduzione osservata è stata appena il 3%. Si può parlare di speculazione?

Ora il governo vorrebbe accelerare questo rientro per venire incontro alle esigenze delle famiglie italiane il cui reddito è stato eroso dall’esplosione dei prezzi.

Ma per accelerare in questa direzione, non ha senso limitare il controllo dei prezzi soltanto all’anello finale, quello della vendita. E’ necessario coinvolgere tutte le diverse fasi dell’intera filiera: la produzione delle materie prime (nel caso della pasta è fondamentale l’avvio effettivo della Commissione unica nazionale sul grano, senza ulteriori sperimentazioni), la prima trasformazione e la seconda trasformazione. Altrimenti hanno buon gioco le imprese delle diverse fasi, proprio come sta avvenendo, a rimpallarsi le responsabilità dei rincari e a chiamarsi fuori da tentativi di controllo dei prezzi. Ma non dai contributi per promuovere i consumi.

Barilla in Italia si è già tirata indietro, in Francia no.

Barilla, ad esempio, pare si sia sfilata dal piano anti-inflazione varato dal ministro Urso per l’Italia, avrebbe deciso però di aderire a quello promosso in Francia che porterà ad una riduzione dei prezzi del 7%. Come mai in Francia si e in Italia no? Se lo chiede il quotidiano La Verità. Le ragioni di questa disparità non sono chiare. Che si tratti di una scelta politica o di marketing (considerata la forza del suo marchio nel nostro Paese), sarebbe opportuno che le autorità preposte accendano i riflettori.

Se fosse confermata questa decisione, la compartimentazione e la differenza di prezzi a cui dà origine sarebbero inconciliabili con l’obiettivo fondamentale del Trattato FUE in materia di concorrenza che è il completamento del mercato interno. Cosa ne pensa l’Antitrust italiano ed europeo?

Eppure il governo elargisce generose risorse ai pastai

Se è vero che i pastai si sono chiamati fuori dai tentativi di controllo dei prezzi, non è altrettanto vero che abbiano disdegnato contributi pubblici per promuovere i consumi di pasta.

I consumi calano perchè i consumatori non si fidano delle informazioni in etichetta, di una tracciabilità deficitaria o dell’assenza di controlli. Hanno capito bene che tutelare la produzione italiana (autentica) è di fondamentale importanza per la loro salute. Più di uno spot. Sanno bene che il grano italiano di qualità, è privo di Glifosate e Don. E hanno capito anche che il banco di prova per un ministro che ha veramente a cuore la sovranità alimentare non può prescindere da decisioni chiare in un comparto in cui proprio i giudici – anticipando la politica – hanno asserito alcuni principi importanti, evidenziando il vantaggio competitivo del grano italiano.

Lollobrigida, noncurante di queste esigenze dei consumatori più informati, ha stanziato oltre mezzo milione di euro pensando di convincerli a consumare più pasta con una campagna di comunicazione, mentre i cerealicoltori attendono risposte da un anno sulla trasparenza di mercato (commissione unica nazionale e registro telematico di carico e scarico), che si riflette sulla salute dei consumatori. Nel silenzio di Coldiretti, che sostiene la posizione del ministro sulla sperimentazione, ma non quella degli agricoltori che dicono basta alla sperimentazione.

Insomma, a un anno dall’insediamento ci sono stati solo passi indietro. Il prezzo della pasta aumenta, ma i prezzi all’origine del grano diminuiscono, indebolendo il made in Italy.  Molti campi in Italia restano incolti perchè gli agricoltori preferiscono non affrontare l’incertezza di un settore sempre meno remunerativo per chi produce grano e sempre più remunerativo per commercianti, importatori e industriali.

Mercato del grano duro. Le sentenze non lasciano dubbi su distorsioni e rischi. Tavolo di filiera a Roma

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