In audizione alla Commissione Agricoltura del Senato, i rappresentanti dei pastai italiani dicono che va tutto bene. La verità è che controlli e qualità del grano importato lasciano a desiderare, come da noi dimostrato. Viene da chiedersi se i pastai sappiano cosa usano per fare i loro prodotti o se, sapendolo, preferiscano non saperlo. Scopri perché!
Siamo nel ventunesimo secolo ma la guerra del grano non è finita, evidentemente. Soprattutto la guerra fatta a colpi di propaganda.
Tutto va bene, a giudicare dall'audizione di mercoledì 27 ottobre alla Commissione Agricoltura del Senato di alcuni rappresentanti dei pastai italiani, in particolare di Unione Italiana Food, che fa capo a Confindustria: la qualità del grano importato è indiscussa e i controlli sono accurati e puntuali. Ma le cose non stanno così.
Il video dell'audizione al Senato
A questo link è possibile vedere l'intera audizione del 27 ottobre in Commissione Agricoltura del Senato nell'ambito dell'Affare assegnato sul grano duro.
Il contesto del grano in Italia
Diamo ancora una volta un po' di contesto per spiegare cosa accade nel mercato del grano italiano. L'Italia è il secondo produttore mondiale di frumento duro, con 3,85 milioni di tonnellate annue. Il grano si coltiva soprattutto al Sud, in Puglia, Basilicata, Sicilia e Campania. Questi territori sono naturalmente vocati alla coltivazione del cereale per via delle loro condizioni climatiche e ambientali. Ciò significa che i produttori non hanno bisogno di ricorrere ad agenti chimici per accelerarne la maturazione o per preservarli dai guasti, perché grano e territorio sono uniti da un legame simbiotico. Ne consegue che i prodotti derivati dalla materia prima di queste aree sono naturalmente salubri.
Tuttavia, l'Italia è anche il principale importatore di grano. Perché? Perché il fabbisogno è enorme, visto l'altissimo consumo di pasta, pane e altri derivati sia nel nostro paese sia all'estero, verso cui esportiamo tantissimo. Ma questa è solo una parte della risposta. In realtà in questo interviene la volontà delle grosse industrie di rifornirsi sui mercati internazionali, molto meno costosi, invece di investire sul grano italiano, come spiega anche il senatore De Bonis in una recente interrogazione al Ministro Patuanelli. Nelle pieghe di questa dinamica assurda, intervengono poi fenomeni speculativi per cui il grano italiano si attesta su prezzi normali mentre aumentano quelli di semole e altri passaggi della filiera. Tutto questo mentre persino il Piano cerealicolo nazionale del MIPAAF raccomanda, tra le varie strategie, il potenziamento della produzione nazionale.
Prima inesattezza: la qualità
Nella audizione al Senato, l'Unione Italiana Food ha detto due cose inesatte. Primo: che non si può mettere in discussione la sicurezza dei grani importati. Basta dare una rapida occhiata ai grafici della Grain Commission canadese per accorgersi che non è vero. I grani canadesi, che sono quelli maggiormente importati in Italia, presentano residui molto più consistenti di Don, e una percentuale tutto sommato contenuta di proteine (il 12% circa), a dispetto di quello che vogliono far credere i trasformatori. Senza contare il glifosato, utilizzato per farli maturare più in fretta in un clima ostile come quello nordamericano. Ricordiamo che il glifosato è vietato in pre-raccolta dalle normative europee ed italiane.


È lecito domandarsi, quindi, alla luce delle dichiarazioni rese in audizione al Senato, se i pastai sappiano che cosa usano per fare i loro prodotti o se, sapendolo, preferiscano non saperlo.
Seconda inesattezza: i controlli
Anche la seconda affermazione non corrisponde al vero. Diversi tribunali hanno dato ragione a Granosalus nel dimostrare che i prodotti italiani recano ancora tracce preoccupanti di contaminanti, soprattutto se si considera il cosiddetto effetto cocktail: se prendo una sostanza nociva alla volta magari rimane entro i limiti di legge; se le sommo tra loro, diventa una miscela micidiale per la salute umana.
Questo significa che il sistema dei controlli non è così granitico come si vuol far credere. E del resto lo dimostra il caso della nave Sumatra che, dopo essere stata respinta dal porto algerino di Annaba perché il grano era deteriorato, ha potuto scaricare la merce al porto di Ravenna. È vero che quel grano è ancora fermo nel porto, in attesa di definirne la destinazione, ma è paradossale che un paese dell'Unione europea abbia accettato di far entrare un carico che era stato rifiutato a priori dalle autorità di un paese nordafricano. Per questo, dopo l’atto di sindacato ispettivo di luglio (3-02677), è stata presentata una nuova interrogazione ai ministri Patuanelli e Speranza, mentre i pastai sono caduti dalle nuvole in Audizione.
Insomma, vi è chi, in nome del business a tutti i costi, vuol far passare per pericolosi allarmisti coloro che si prendono la briga di informare i consumatori su ciò che mettono in tavola. Ma i dati in nostro possesso, più volte divulgati sul nostro sito, raccontano la verità. Una verità completamente diversa.
Gli strumenti di rilancio
Gli strumenti per difendere il grano, i suoi produttori e i consumatori sono quelli che abbiamo indicato più volte: 1) darsi da fare per assicurare un reddito equo agli agricoltori, anche attraverso sistemi di formazione dei prezzi trasparenti ed equi (come la CUN); 2) consolidare le etichettature e le certificazioni per rendere chiare l'origine e la qualità dei prodotti; 3) informare puntualmente i cittadini sullo stato dei controlli e delle certificazioni.
Tutto il resto sono chiacchiere e disinformazione.