MADE IN ITALY ED EXPORT DA RECORD, MA A QUALE PREZZO PER LA SALUTE?

Il Made in Italy cresce ma a quale prezzo per la salute?

Secondo quanto riportato da Il Foglio del 19 giugno 2025 l’industria alimentare tricolore ha continuato a crescere raggiungendo cifre record a dispetto di un presunto “approccio punitivo” adottato dal governo.

Nello stesso articolo vi si legge anche l’opinione di alcune grandi aziende che chiedono di non ostacolare con troppi vincoli un settore già vessato dai rincari.

Ma a ben vedere, la vera domanda che ci poniamo noi di GranoSalus è un’altra: a chi giova esattamente un modello di sviluppo che non include la piena trasparenza sull’origine delle materie prime e la massima tutela della salute pubblica?

Oggi più che mai, infatti, ci troviamo in un contesto in cui i consumatori chiedono garanzie reali: perché se il prodotto è pubblicizzato come “100% italiano”, deve esserlo davvero; e se esistono test che dimostrano la contaminazione da DON (deossinivalenolo) – come è emerso dall’ultimo test GranoSalus sugli spaghetti commercializzati dalle principali marche – è sacrosanto pretendere regole chiare e controlli rigorosi.

In quest’ottica, un giro di vite governativo, lungi dall’essere punitivo, rappresenterebbe invece un passo avanti verso la qualità e la salvaguardia del vero Made in Italy.

Uno scenario globale in trasformazione

L’attuale scenario agroalimentare si muove in parallelo a sfide ambientali rilevanti:  i cambiamenti climatici mettono in evidenza la vulnerabilità del comparto agricolo a causa di siccità, ondate di calore e fenomeni estremi.

Secondo i rapporti diffusi da GranoSalus i campioni che dichiarano l’uso esclusivo di grano meridionale – specialmente in un’annata siccitosa come quella del 2022 o del 2024 – avrebbero dovuto presentare valori trascurabili di micotossina DON. La realtà riscontrata, però, racconta di una contaminazione media.

Da qui nasce la domanda: perché rischiare di minare un patrimonio agricolo di così alto pregio con pratiche poco lineari?

È evidente che per sostenere l’export e la competitività non si debbano sacrificare standard qualitativi che da sempre costituiscono il fiore all’occhiello del nostro Paese.

Misure governative e presunte logiche “anti-industriali”

Nell’articolo de Il Foglio si legge di un settore che avrebbe raggiunto un nuovo picco di fatturato (70 miliardi di euro, +9,2% sul 2023). Al contempo, però, emergono timori che un approccio governativo più severo possa rallentare la crescita negli anni a venire.

Noi rispondiamo in modo onesto ma fermo: la crescita del settore agroalimentare deve coniugarsi con la salvaguardia della salute dei consumatori, la protezione dell’ambiente e il rispetto delle specificità territoriali.

Questo non significa punire: è preservare ciò che rende l’Italia uno dei maggiori esportatori di prodotti agroalimentari d’eccellenza nel mondo.

In quest’ottica inasprire le pene per frodi alimentari e false dichiarazioni d’origine non è sinonimo di ostacolare l’industria ma di difendere chi opera con correttezza, e soprattutto di sostenere un modello di sviluppo più lungimirante.

Una panoramica di opportunità, non solo di critiche

Non vogliamo criminalizzare l’industria ma valorizzare chi fa bene il proprio lavoro. La trasparenza integrale sull’origine delle materie prime e sul processo di lavorazione darebbe un vantaggio competitivo a quelle aziende che hanno investito in filiere locali di qualità.

Inoltre, un “bollino di garanzia” nazionale, rilasciato da enti terzi indipendenti, potrebbe sancire l’effettiva italianità e salubrità di un prodotto premiando chi si impegna in pratiche di agricoltura sostenibile.

Granosalus vanta un riconoscimento europeo come ente di certificazione ed ha depositato un Disciplinare ad hoc in grado di garantire l’origine del grano contenuto in pasta, pane e altri derivati della trasformazione.

Una filiera così costruita è più resiliente ai cambiamenti climatici e rende superfluo il ricorso a grani esteri potenzialmente contaminati. Quindi, quando si parla di “approccio punitivo del governo”, sarebbe più appropriato parlare di “approccio selettivo e meritocratico” volto a favorire chi investe in sicurezza alimentare ed eticità di filiera.

La prospettiva futura: un cambio di paradigma condiviso

Sul lungo periodo, la direzione è chiara: chi non innova e non si adegua ai principi di trasparenza e tutela della salute rischia non solo sanzioni, ma soprattutto di perdere credibilità sui mercati internazionali. Il Made in Italy deve continuare a essere un marchio di eccellenza, e non c’è spazio per chi rema contro questa reputazione.

La nostra posizione, dunque, è lineare e costruttiva:

  1. Plaudiamo al governo se deciderà di alzare l’asticella dei controlli perché più sicurezza significa più valore per il Made in Italy;
  2. Sosteniamo le imprese che investono in pratiche di filiera trasparenti e in ricerca scientifica per l’agricoltura sostenibile;
  3. Chiediamo vigilanza sulle etichette e, dove emergono incongruenze (come i marcatori di DON, Glifosate o metalli pesanti non congrui), interventi rapidi ed efficaci per tutelare la buona produzione;
  4. Ricordiamo a tutti che la modernità non coincide con la permissività indiscriminata: anzi, l’innovazione si fa concreta quando produce meno frodi, meno sprechi, meno impatti negativi e più benessere per i cittadini.

Una crescita autentica e duratura non può prescindere dall’onestà e dal rispetto dei princìpi basilari di salute pubblica e tutela ambientale.

Un modello “auto-centrico” che riduce gli standard e accontenta le filiere meno virtuose porterà solo a interventi costosi di “climatizzazione artificiale. Nel settore del grano duro e della pasta, la posta in gioco è alta: se ci ostiniamo a perpetuare frodi o disinformazione finiscono per esplodere i costi sanitari nel tempo, diminuisce la fiducia del mercato e si perde competitività nel contesto internazionale.

La strada è una sola: alzare l’asticella della trasparenza e pretendere il meglio per proteggere il vero Made in Italy.

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