ISMEA: SECONDA PUNTATA. SPECULAZIONI ANCHE SU GRANO TENERO

I dati ISMEA confermano che è in atto una speculazione “di guerra” sul grano. Il punto, però, è che il reddito degli agricoltori va sostenuto se si vuole incoraggiare la produzione nazionale.

 

Qualche giorno fa Granosalus ha riportato alcuni dati ISMEA per dimostrare che è in atto una speculazione sulla pasta e altri prodotti del grano duro.

Frumento tenero: i dati

Ebbene, il racconto del rincaro di pane, biscotti e altri prodotti a causa della guerra in Ucraina fa acqua anche sul fronte del grano tenero. Ce lo confermano i dati ISMEA.

Dalla tabella appena riportata balza agli occhi un dato che dovrebbe far arrossire di imbarazzo quanti si stracciano le vesti per le materie prime che non arrivano e dunque per l’inevitabilità dei rincari. Nel 2021 dall’Ucraina abbiamo importato 122 mila tonnellate di frumento tenero a fronte di… 1.269.000 tonnellate dall’Ungheria! Prima del paese oggi in guerra, oltre all’Ungheria, ci sono la Francia, l’Austria, la Croazia e addirittura la Germania.

Che cosa significa questo? Significa che, come per la pasta, i rincari devono essere dovuti a un’altra ragione. E ragione fa rima con speculazione.

La dipendenza dall’estero

Il punto, però, è un altro. Come abbiamo più volte messo in evidenza, è paradossale che un paese come l’Italia, naturalmente vocato alla coltivazione di grano, in particolare al Sud, debba importare una percentuale sostanziale del fabbisogno di frumento dall’estero: dal Canada in primis nel caso del frumento duro (vedi tabella sottostante ISMEA) e dall’Ungheria e gli altri nel caso del frumento tenero.

 

Il pacchetto Ucraina

L’Unione europea ha di recente messo in campo il cosiddetto “pacchetto Ucraina” che prevede, tra le altre cose, la possibilità di sbloccare 4 milioni di ettari di terreni messi a riposo permanente per coltivare materie prime di urgente necessità tra cui il grano. Per l’Italia si tratterebbe di 200.000 ettari da sfruttare. In realtà, come già evidenziato dal senatore De Bonis in un’interrogazione, al Sud si potrebbe usare un’area di almeno tre volte superiore, tra terreni a riposo e aree abbandonate.

Il punto però, come già messo in risalto da Granosalus, è che il pacchetto Ucraina è insufficiente e, soprattutto, che non serve a niente sbloccare i terreni se i produttori non hanno nessuna convenienza a coltivare quelle terre.

Il problema nasce da lontano. La politica agricola comunitaria (PAC) nacque con l’intento esplicito di garantire un reddito dignitoso agli agricoltori e alle popolazioni rurali, oltreché l’approvvigionamento di cibo.

La PAC e i redditi agricoli

La riforma Mac Sharry del 1992 fu l’ultima ad assicurare ai coltivatori, soprattutto cerealicoli, il reddito degli agricoltori. Allora un agricoltore, in particolare di grano, poteva percepire fino a un milione di lire per ettaro, pari, tenuto conto del potere di acquisto, a circa 1500 euro. Dal 2000 in poi c’è stato un progressivo cambiamento della PAC, fino al totale stravolgimento dei suoi principi. Oggi ai produttori si concedono circa 300 euro per ettaro.

Come si può pensare che un agricoltore decida di coltivare i terreni se i ricavi non coprono i costi di produzione ed è destinato ad andare in perdita?

Negli anni vi è stato un progressivo dirottamento dei fondi agricoli europei dai produttori alla parte industriale. A un certo punto si è deciso che l’agricoltore non era più necessario perché tanto si sarebbero reperite materie prime a buon mercato in giro per il mondo. L’Ucraina ci ha mostrato quali distorsioni possa generare questo modo di pensare e di agire.

Non bisogna dimenticare che i coltivatori, in particolare cerealicoli, sono quelli che producono le materie prime necessarie a sfamare i popoli, Nord Africa compreso.

Con buona pace di chi vorrebbe far arrivare più soldi alla parte industriale delle filiere, l’unica misura seria per convincere gli agricoltori a coltivare le tante terre abbandonate è modificare le politiche agricole – nazionali ed europee – in modo che sostengano realmente gli agricoltori e ne garantiscano la redditività.

Ad esempio, è quanto mai necessario spostare più risorse dal secondo pilastro (gestito dalle regioni con PSR che non vengono spesi) al primo pilastro (quello dei pagamenti diretti agli agricoltori) per poter garantire un’attualizzazione degli incentivi corrisposti in passato.

Staremo a vedere.

 

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