La questione Xylella, da anni, rappresenta una ferita aperta per la Puglia e per l’intera filiera olivicola italiana. E le ultime notizie riportano l’attenzione su un nodo cruciale: quali scelte si vogliono (o si devono) compiere per raggiungere una svolta concreta in questa vicenda?
In modo analogo a quel che accade con la trasparenza nel settore cerealicolo, di cui tanto parliamo su GranoSalus, anche per la Xylella è fin troppo comune il ricorso a misure che lasciano sospesa ogni responsabilità, allungando i tempi e favorendo, di fatto, zone d’ombra in cui ognuno dice la sua. Il Parlamento se ne era occupato nella scorsa legislatura per proporre una Commissione d’inchiesta.
Ma, nel frattempo, gli ulivi continuano a soffrire, molti agricoltori si sentono abbandonati, e gli investimenti si diramano in programmi che a volte mancano di prove scientifiche solide.
L’interrogazione parlamentare: luce sulle criticità
Viene da chiedersi, in primis, se non siano stati commessi errori macroscopici nella gestione della Xylella negli ultimi otto anni. Il rimando è a quella celebre affermazione per cui “la Xylella non si cura”: uno slogan che ha forse frenato la ricerca di soluzioni presenti o potenziali.
È indispensabile arginare la malattia in modo sinergico e incoraggiare gli agricoltori che, scoraggiati e spesso inascoltati, hanno abbandonato gli uliveti divenuti preda del patogeno.
Ecco, dunque, riaffiorare il discorso su prove scientifiche reali, sulle pubblicazioni internazionali e sul poco o mancato riconoscimento di alcuni protocolli sperimentali che potrebbero rappresentare un punto di svolta.
La “cura Scortichini” e l’importanza della verifica scientifica
Sul banco degli imputati, o meglio delle discussioni politiche, è finita la cosiddetta “cura Scortichini”, su cui il consigliere regionale Pagliaro aveva mosso critiche riguardo a costi e documenti presentati.
Si arriva, dunque, a uno snodo fondamentale: il progetto di ricerca del Crea (Council for Agricultural Research and Economics), Università del Salento e Università di Bologna, avviato già nel 2017 e durato due anni, avrebbe speso appena 200.000 euro, producendo ben 11 pubblicazioni scientifiche di rilievo, pubblicate su riviste internazionali e peer-reviewed, relative alla patologia vegetale, all’agronomia, alla fisiologia vegetale, alla biosicurezza e alla sostenibilità ambientale.
Noi di GranoSalus, che da anni chiediamo trasparenza nel valutare i dati (lo facciamo anche con i marcatori di qualità del grano duro, con la tracciabilità, la CUN e via dicendo), non possiamo che notare come questo caso ponga la stessa impellente necessità: basare le strategie di contrasto a una patologia devastante su evidenze scientifiche solide, piuttosto che su slogan o retoriche di comodo.
La contraddizione degli interventi di innesto
Stando a quanto riporta l’interrogazione, la Regione Puglia gestisce un finanziamento di 5 milioni di euro (stanziati dal Mipaaf) destinato a un “Piano straordinario di rigenerazione olivicola” che incentiva la pratica dell’innesto in piante infette con varietà non autoctone.
Il problema è che mancano prove scientifiche secondo cui un olivo reinnestato, già colpito da Xylella, possa recuperare pienamente le proprie funzioni fisiologiche o risultare immune da futuri attacchi del batterio.
C’è il rischio che si foraggino interventi costosi e, di fatto, poco efficaci o addirittura controproducenti sul lungo periodo.
Non ci stupisce, per certi versi, che la ricerca di vie d’uscita si traduca in sperimentazioni di vario genere: la malattia ha sconvolto uno dei simboli identitari del Meridione, con un impatto socio-economico devastante. Gli agricoltori sperano in soluzioni che li facciano ripartire. Ma, come spesso accade, la scarsa chiarezza rischia di generare confusione e indebolire quello che dovrebbe essere un piano condiviso di intervento.
Ciò richiama in modo impressionante le dinamiche analoghe del settore cerealicolo, in cui più misure si sovrappongono ma manca una regia unitaria basata su dati inoppugnabili.
Quale strada dopo otto anni di incertezze?
Oggi più che mai, è essenziale riunirsi e comprendere cosa è andato storto. Per davvero.
Da una parte, si lamentano (giustamente) le difficoltà vissute dagli agricoltori; dall’altra, la mancanza di un coordinamento unitario delle azioni. E, nel frattempo, non tutti i progetti di ricerca hanno avuto lo stesso sostegno economico.
È interessante che con appena 200.000 euro il protocollo “Scortichini” (all’interno del Crea) abbia prodotto studi in grado di varcare i confini nazionali e pubblicazioni su riviste di riferimento internazionale.
Invece, altre misure (come l’innesto di varietà non autoctone) avrebbero ottenuto stanziamenti ben più elevati senza tuttavia un corrispettivo di evidenze pubblicate con pari severità scientifica.
Risuona, in filigrana, la domanda che spesso ci poniamo anche in altre filiere: perché non valorizzare ciò che funziona davvero e che è documentato da fatti oggettivi? Perché promuovere misure i cui risultati restano incerti o vengono addirittura smentiti dall’esperienza sul campo?
Conclusioni: da una crisi all’altra, la lezione da apprendere
La Puglia e l’Italia intera hanno bisogno di un’agenda di interventi maturi, responsabili, e soprattutto fondati su prove. Non serve più lanciare proclami generici o rimandare decisioni coraggiose: è passato quasi un decennio dalla prima segnalazione di Xylella nel Salento, e ancora non esiste un piano univoco, trasparente e condiviso.
Per chi, come noi di GranoSalus, assiste da tempo a processi analoghi nel settore cerealicolo, la lezione è chiara: quando la politica e le istituzioni non accolgono in modo tempestivo i risultati delle ricerche più autorevoli né ascoltano la voce di quei tecnici che mettono in campo dati verificabili, si generano vuoti in cui si insinua la sfiducia.
Questo non può che danneggiare chi produce con fatica – nel nostro caso, i coltivatori di ulivi in Salento – e disorientare i consumatori. È tempo, dunque, di voltare pagina: la Xylella va fronteggiata con metodo, investendo in modo mirato su quelle strategie che la scienza indica come validate, per ricostruire un comparto essenziale per l’economia e l’identità del territorio.
Che si tratti di grano duro, di oliveti secolari o di qualsiasi altra filiera tipica del Made in Italy, la trasparenza unita alla competenza rappresenta sempre l’unica strada percorribile.
