Perchè un cambio di rotta è cruciale anche per il nostro grano?
La crisi del grano duro tricolore, che da anni noi di GranoSalus denunciamo sul nostro blog, non può essere considerata un semplice fenomeno di mercato locale. Lo scenario europeo – e ancor di più quello globale – sta vivendo una fase di profonda ristrutturazione delle politiche agricole. Sullo sfondo si intravede molta nebbia!
Chi osserva da vicino le tensioni a Bruxelles in vista del lancio ufficiale della nuova Pac e del Quadro Finanziario Pluriennale (MFF) post-2027, previsto per il 16 luglio, percepisce un senso di “tempesta” imminente.
Tutto ciò non fa che aggravare le incertezze di chi, come i produttori di grano duro, soffre già di distorsioni sui prezzi, mancati meccanismi di formazione trasparente e una costante pressione competitiva dall’estero.
Fondo unico europeo: minaccia o opportunità?
Una delle novità più discusse riguarda l’ipotesi di un fondo unico europeo che accorpi agricoltura, coesione e ricerca. Se, da un lato, questa misura potrebbe razionalizzare le risorse, dall’altro numerosi operatori (e con loro noi di GranoSalus) temono che la strategia in questione si traduca in un indebolimento della Pac vera e propria.
La Politica Agricola Comune, soprattutto per i cereali e in particolare per il grano duro, ha rappresentato per decenni un ombrello protettivo: basti pensare ai pagamenti diretti e ai fondi per lo sviluppo rurale. Qualora tali pilastri venissero “diluiti” in un contenitore più ampio il rischio è che le esigenze dell’agricoltura finiscano in secondo piano.
A lanciare l’allarme è stato Paolo De Castro, che definisce incomprensibile l’idea di “rinazionalizzare la Pac”. In altre parole, il timore è che, se l’Europa non interviene in modo coeso, le singole nazioni più forti possano muoversi in autonomia, lasciando indietro i Paesi a vocazione cerealicola (come l’Italia) che da tempo soffrono un gap strutturale, specialmente nelle regioni meridionali.
Da qui la questione sul tavolo: la Pac ha già un budget ridotto (appena l’1% del Pil), mentre per altri capitoli di spesa – si cita, emblematicamente, la difesa – ci si impegna ad arrivare al 5% nella Nato. L’agricoltura, dunque, rischia di restare “la Cenerentola” nelle priorità europee.
Possibili tagli e “greenwashing” del sostegno rurale
Ulteriore elemento di preoccupazione: si parla apertamente di una riduzione del 14% delle risorse. Tagliare il sostegno agli agricoltori in un momento cruciale (in cui si lamentano già prezzi di vendita del grano al di sotto dei riferimenti esteri e costi produttivi in rapido aumento) appare una mossa che potrebbe rivelarsi controproducente.
D’altro canto, vi sono anche notizie che fanno sperare: la Commissione ha concesso l’utilizzo dei fondi di coesione e del Pnrr per interventi irrigui. Considerando la gravità della crisi climatica, per i produttori agricoli diventa essenziale disporre di infrastrutture adeguate per far fronte alle siccità o alle precipitazioni estreme. Questa notizia riguarda meno il grano ed è più utile per le colture intensive.
L’accordo Ue-Ucraina e il rischio di ulteriore concorrenza
Mentre l’attenzione è focalizzata sul nuovo MFF e sulla Pac, sul versante del commercio internazionale si annunciano cambiamenti di rilievo. La revisione dell’accordo di libero scambio (Dcfta) con l’Ucraina prevede aumenti significativi dei contingenti tariffari (Trq) per grano, mais, zucchero e uova, tra gli altri.
Per il nostro grano duro, potrebbe tradursi in un’ulteriore pressione competitiva, sebbene le merci ucraine – stando ai piani Ue – dovrebbero progressivamente allinearsi agli standard europei (maggiore attenzione ai residui di agrofarmaci e al benessere animale) entro il 2028.
Da un lato, l’Europa dichiara di voler sostenere l’economia ucraina e garantire agli operatori comunitari una certa stabilità. Dall’altro, il principale sindacato agrario ucraino (Ucab) definisce l’accordo “un passo indietro” rispetto alla liberalizzazione totale in vigore durante il conflitto, lamentando l’assenza di strumenti per superare le criticità logistiche.
In tutto ciò, l’agricoltura italiana si trova a dover fronteggiare un probabile incremento di importazioni di grani (anche grazie al CETA voluto da Pittella & Co) e derivati: e se i prezzi del nostro cereale sono già inferiori a quelli di altri produttori mondiali, che impatto avrà questa nuova ondata di concorrenza “agevolata”?
Mercosur e dazi Usa: pressioni provenienti dal Sud e dall’Ovest
L’Europa si confronta con il riesame del trattato con il Mercosur (Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay). È un nodo annoso: da tempo le organizzazioni agricole denunciano un’asimmetria normativa fra i criteri europei (più rigorosi) e quelli sudamericani, specialmente su questioni come l’uso di fitofarmaci e gli standard igienico-sanitari.
Permettere, ad esempio, l’ingresso di quantità notevoli di carni bovine, pollame o uova prodotte in condizioni meno stringenti rischia di danneggiare l’export europeo, ma anche di spingere al ribasso i prezzi interni di settori come la zootecnia: una brutta notizia per molte aree rurali italiane in cui l’allevamento si affianca alla coltivazione di cereali.
Dazi statunitensi
Sull’altra sponda dell’Atlantico, inoltre, non si attenuano le minacce di dazi statunitensi su prodotti agroalimentari europei (dal formaggio alla pasta).
Il timore di un +17% di tariffe Usa (oggi si parla di + 30%) potrebbe costare caro alle nostre esportazioni, con stime che parlano di un danno fino a 2 miliardi di euro all’export italiano. E come GranoSalus ricordiamo, la pasta – fiore all’occhiello del made in Italy – è strettamente legata al grano duro nazionale, che però fatica a ottenere quotazioni dignitose. Se i dazi riducessero la competitività della nostra pasta negli Usa, potrebbe paradossalmente diminuire anche la domanda di materia prima italiana, aggravando la crisi del grano.
Il lancio della nuova Pac e della cornice post-2027 incombe, e con esso la possibilità di disegnare un’Unione più forte e coesa, magari puntando su un piano solido di coesione rurale e su investimenti in infrastrutture irrigue, agricoltura di precisione e innovazione varietale.
Se l’Europa sceglierà la strada della rinazionalizzazione e dell’indebolimento dei pilastri storici (pagamenti diretti e sviluppo rurale), farà un passo indietro, lasciando i singoli Stati a combattere da soli contro le sfide globali.
Al contrario, una rinnovata Politica Agricola Comune, con risorse adeguate e regole certe, potrebbe traghettare il grano duro e l’intera filiera agroalimentare verso un futuro in cui qualità, equità e sostenibilità non siano più parole vuote, ma fondamenti di una strategia condivisa: anche perchè è in ballo la salute pubblica ed il bilancio sanitario.
Ecco perché non possiamo permetterci di ignorare i segnali di questa tempesta.
