Sentenza Monsanto: ulteriore elemento di prova per ricorso Granosalus

Dalla sentenza americana su Monsanto emerge l’effetto cancerogeno del Glifosato che induce a portare avanti la battaglia legale, politica e mediatica intrapresa da Granosalus. Spiace assistere al silenzio delle organizzazioni di categoria di fronte all’evidenza della scienza e del principio di precauzione. Se dipendesse da loro dovremmo intensificare gli scambi con il Canada. Granosalus, attraverso i suoi rappresentanti nel Parlamento, chiederà al Ministero della Salute e al Mipaaf di emanare un decreto urgente che vieti la presenza di Glifosate negli alimenti ed intensifichi i controlli in tutti i porti italiani.

Non erano visionari gli associati Granosalus quando per primi hanno denunciato la pericolosità del Glifosato nella pasta. A sostegno delle loro denunce è intervenuta la sentenza dei giudici di San Francisco che hanno condannato la multinazionale a risarcire il giardiniere Dewayne Johnson. Non esistono dubbi: il tumore maligno che ha attaccato il suo sistema linfatico e che potrebbe essergli fatale è riconducibile al glifosato.

Eppure il glifosato  lo mangiamo tutti i giorni! A tavola! Ci voleva un’associazione di privati, come Granosalus, per dimostrarlo. Con analisi scientifiche che hanno battuto colossi come Barilla, Divella, De Cecco, Garofalo, La Molisana e Granoro nei tribunali italiani, nei quali ogni sentenza ha dato ragione all’ associazione. Se fosse dipeso da Coldiretti e dalle altre organizzazioni (tutte legate all’ agroindustria), avremmo continuato a mangiarlo per secoli senza mai scoprirlo. Ed ancora, se fosse stato per qualche commerciante abruzzese travestito da agricoltore tifoso di filiere anticoncorrenziali (utili solo alle sue tasche!) saremmo ancora agli albori dell’ informazione. Tutti gli sconfitti fanno a gara per screditare i vincitori, anche i responsabili di alcuni pastifici pugliesi che avevano dichiarato il 100% di origine della materia prima ingannando i consumatori.

Già, perché se è vero che all’interno della Ue noi siamo il Paese più severo  nella regolamentazione dei diserbanti tossici è altrettanto vero che, alla prova dei fatti, non c’è alcun divieto di importare prodotti coltivati a colpi di sostanze nocive per la nostra salute e, soprattutto, per quella dei nostri bambini.

In ballo la salute pubblica

E’ evidente che non si tratta di difendere il made in Italy o di salvare qualche nicchia del nostro export agroalimentare, come lasciano intendere alcuni difensori del CETA. Confagricoltura, Cia, Copagri insieme alle coop agricole nelle audizioni parlamentari si sono espressi a favore del trattato con il Canada, che invece il governo deve far saltare. Qui è in gioco la salute pubblica, il bilancio sanitario del nostro Paese e la nostra economia!

Sorprende invece che Coldiretti abbia “fuorviato” l’attenzione dalla sicurezza allo sfruttamento dei lavoratori. Per poi scoprire che nelle stanze europee il no (apparente) al Ceta di Coldiretti diventa un si (effettivo) del Copa Cogeca, di cui fa parte insieme alle centrali cooperative.

Coldiretti afferma che “ o i cibi sono figli delle stesse regole oppure dobbiamo bloccarli ”, ma per   non trascurare le sue ambigue dichiarazioni (Moncalvo) dovrebbe comunicare ai consumatori italiani – alla stregua di Granosalus – se ha commissionato analisi sulla pasta o depositato qualche ricorso in tutti questi anni.

Insomma a che gioco stanno giocando le organizzazioni professionali italiane?

Il ricorso di Granosalus contro la Commissione Ue

L’ unica associazione che avrebbe diritto di tribuna sul tema glifosate è Granosalus, che oltre ad aver affrontato nei tribunali i colossi italiani del cartello della pasta, da alcuni mesi ha pure presentato un ricorso al Tribunale europeo di prima istanza contro la Commissione Ue.

Nel ricorso si chiede l’annullamento del Regolamento di Esecuzione (UE) 2017/2324 della Commissione del 12 dicembre 2017 che rinnova l’approvazione della sostanza attiva glifosato.

Già alcuni cittadini dell’Unione, ai sensi dell’art. 11, par. 4, T.U.E., avevano presentato un’iniziativa tesa a contrastare l’utilizzo della sostanza Glifosato. L’iniziativa, denominata “Ban glyphosate and protect people and the environment from toxic pesticides” e depositata presso le competenti sedi dell’Unione europea il 25 gennaio 2017, è stata promossa da un Comitato di cittadini residenti in 7  Stati membri (Francia, Germania, Austria, Belgio, Danimarca, Estonia e Spagna) cui successivamente hanno aderito, mediante “Dichiarazioni di sostegno”, ulteriori cittadini sino a coinvolgere 22  Stati membri.

Con detta iniziativa si invitava la Commissione a proporre agli Stati membri di:

1. vietare gli erbicidi a base di glifosato, una sostanza messa in relazione con il cancro negli esseri umani e con il degrado degli ecosistemi;

2. garantire che la valutazione scientifica dei pesticidi per l’ approvazione regolamentare della UE si basi unicamente su studi pubblicati, che siano commissionati dalle autorità pubbliche competenti anzichè l’ industria dei pesticidi;

3. fissare obiettivi di riduzione obbligatori per l’uso dei pesticidi al livello dell’UE, in vista di un futuro senza pesticidi.

Il principio di precauzione è il criterio guida del nostro ordinamento

Nel ricorso presentato da Granosalus si è evidenziato, mediante trascrizione dei relativi “Considerando” di interesse, che uno dei principi fondamentali su cui poggia il Regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 ottobre 2009, è quello sotteso alla tutela della salute umana, dei consumatori e dell’ambiente.

Tale tutela, infatti, deve essere posta alla base del corretto esercizio dell’azione amministrativa e legislativa da parte della Commissione, del Parlamento e del Consiglio.

La decisione di conferma dell’EFSA, e il Regolamento di esecuzione n. 2017/2324 che su di essa poggia, non risulta convincente e comunque contrasta con la normativa UE e in particolare con l’art. 7 del Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2002, n.178, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare, e che cristallizza il c.d. “principio di precauzione”, in base al quale:

1. Qualora, in circostanze specifiche a seguito di una valutazione delle informazioni disponibili, venga individuata la possibilità di effetti dannosi per la salute ma permanga una situazione d’incertezza sul piano scientifico, possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute che la Comunità persegue, in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione più esauriente del rischio.

2. Le misure adottate sono proporzionate e prevedono le sole restrizioni al commercio che siano necessarie per raggiungere il livello elevato di tutela della salute perseguito nella Comunità, tenendo conto della realizzabilità tecnica ed economica e di altri aspetti, se pertinenti. Tali misure sono riesaminate entro un periodo di tempo ragionevole a seconda della natura del rischio per la vita o per la salute individuato e del tipo di informazioni scientifiche necessarie per risolvere la situazione di incertezza scientifica e per realizzare una valutazione del rischio più esauriente.

L’operatività del principio di precauzione, dunque, non è da assumersi solo nell’ipotesi in cui ricorra una minaccia di danni “gravi e irreversibili”, essendo sufficiente la semplice situazione di pericolosità presunta.

Pertanto, quando sussista un rischio per la salute umana in relazione ad una situazione di incertezza sul piano scientifico, il principio di precauzione rappresenta l’unico criterio-guida per l’adozione di misure di gestione o di interventi tesi a garantire un livello elevato di tutela della salute, specie in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione più esauriente del rischio.

E’ esattamente ciò che avrebbe dovuto ispirare la Commissione trattando il caso di specie, soprattutto dinanzi ad una cospicua elaborazione scientifica attestante la cancerogenicità del Glifosato, corroborata e confermata dall’Agenzia internazionale sulla ricerca sul cancro, da alcuni studi pilota dell’ Istituto Ramazzini di Bologna e, oggi, anche dall’ ultima sentenza americana.

Il perdurare dell’utilizzo del prodotto Glifosato, anche solo per i cinque anni ad oggi assentiti, se da un lato è utile a smaltire le scorte, dall’ altro è fonte di danno alla salute dei cittadini dell’Unione. La sentenza lo dimostra chiaramente.
Dall’altra parte il perdurare del rinnovo della sostanza attiva per ben 5 anni è fonte di danno di natura patrimoniale per i produttori di grano italiano.

E’ per questa ragione che Granosalus, attraverso i suoi rappresentanti nel Parlamento, chiederà al Ministero della Salute e al Mipaaf di emanare un decreto urgente che vieti la presenza di Glifosate negli alimenti ed intensifichi i controlli in tutti i porti italiani.

One comment

  1. e finalmente qualcuno con i controcoglioni ha alzato la testa e smascherato le strategie dei baroni della pasta. Grazie di cuore a tutti voi, e se potete pubblicate nomi e cognomi di produttori che non usano glifosato (se ve ne sono), in modo da poterci regolare…

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