La filiera del buon senso è ancora in attesa della qualità e della trasparenza – Guerra del Grano

Si fa un gran parlare di filiera. Pullulano convegni e conferenze stampa. Mugnai, pastai e organizzazioni di categoria agricola, ogni giorno si mettono in bella mostra televisiva per lanciare messaggi rassicuranti agli agricoltori e ai consumatori. Coldiretti se le fa in proprio, mentre gli altri per ostentare gli stessi muscoli si organizzano insieme. Le industrie, che guidano le danze alla ricerca di nuove soccide, si alternano a volte con una formazione a volte con l’altra. L’ ultima conferenza ieri a Roma (foto ansa) con l’intento di porre addirittura una tregua alla guerra del grano. Senza comprendere il vero problema: la domanda inevasa di trasparenza e libertà di mercato! E tutti fanno i conti senza l’ oste (produttori di grano e consumatori)

Che cos’è questa filiera?

La filiera è una parola magica inventata dal legislatore per sedare il mercato e far credere ai consumatori che c’è una via altra per garantire il made in Italy. In realtà si tratta di una trappola di mercato spesso contornata anche da possibili frodi.

Il contentino (elargito sotto forma di aiuto di Stato in de minimis) è stato concepito per le organizzazioni di categoria, al fine di dare una mano alle industrie nel derogare alle regole del mercato. Il tentativo, infatti, è quello di imbrigliare il mercato e controllare gli approvvigionamenti. Cosa ben diversa dal libero mercato!

Questo privilegio, peraltro, sino ad oggi si è dimostrato utile solo per alcuni soggetti (asserviti alle industrie) affinchè potessero dimostrare al 90% degli operatori del mercato che una sparuta minoranza (il 5-10% degli operatori) è più furba e viene pagata diversamente, ma sempre a prezzi anticoncorrenziali.

E’ come se volessero costruire dei recinti attorno alle pecore e moltiplicare le soccide.

Ormai è opinione diffusa tra tanti agricoltori che “le filiere servono solo a fissare prezzi minimi e massimi contro le regole di mercato con l’ avallo delle organizzazioni di categoria”. Sono tante le esperienze di coloro che si sono già scottati e che sono scappati dalle filiere capestro…La scusa di attenuare la volatilità non regge!

Del resto, il fatto che i contratti di filiera siano limitati è noto. Dunque, la volatilità permane. Chiunque abbia chiesto di poter entrare in filiera ha ricevuto risposte limitative. Il caso del Cappelli è solo la punta di un iceberg (COME POTETE LEGGERE QUI).

Oggi però, accanto a questo obiettivo è scattata l’ansia di aumentare il controllo degli approvvigionamenti. Come mai?

Semplice. Le battaglie vincenti di Granosalus e dei Nuovi Vespri sia attraverso i TEST che attraverso le aule dei TRIBUNALI hanno aperto gli occhi ai consumatori sulla realtà del grano e della pasta. Insomma, il grano contaminato non lo vuole più nessuno altrimenti la pasta resta sugli scaffali. Ma nel protocollo non abbiamo letto da nessuna parte che il glifosato deve essere assente nella filiera grano duro-pasta, sebbene ci sia un divieto nel grano.

Come mai i nostri sindacati non hanno sottoscritto niente a tal proposito, pur essendo questo un tema cruciale? Eppure nel Protocollo d’Intesa si legge:

“anche sul piano qualitativo, le evidenze mostrano la necessità di miglioramento di alcuni importanti parametri del grano duro nazionale per la buona trasformazione in semola per pasta”

Della scarsa appetibilità del grano straniero i canadesi hanno preso atto in Camera di Commercio a Foggia (COME POTETE LEGGERE QUI), ma i nostri sindacati no! Sicchè, mentre tutti gli operatori sono preoccupati per quello che potrà accadere nei prossimi mesi, in cui si annuncia una inversione di tendenza e qualcuno rischierà di rimanere senza materia prima nobile, i nostri sindacati, ignorando i pregi del grano italiano (assenza di contaminanti). sottoscrivono documenti autolesionisti. Paradossale ma vero!

In realtà, questo è il motivo per cui è già scattata la caccia al grano italiano.

E’ vero, il grano di qualità italiano senza contaminanti – nel breve periodo – non sarà sufficiente per l’export ma potrà soddisfare tranquillamente la domanda italiana di pasta e pane senza contaminanti.

Nel medio e lungo periodo, però, l’offerta di grano duro italiano di qualità potrà senz’ altro aumentare, basterà pagare il grano al giusto prezzo (senza incidere sui costi finali per i consumatori) e tutti i terreni marginali oggi abbandonati torneranno a produrre i 2 milioni di tonnellate che oggi mancano all’ appello.

Il giusto prezzo ovviamente è il frutto dell’incontro tra la domanda e l’offerta di “grano salus”, nel suo luogo più naturale che è la Commissione prezzi unica nazionale (Cun). Qui il grano che non abbia caratteristiche di salubrità non deve interferire nelle valutazioni di mercato, alterandone il corso. Come purtroppo è accaduto sino ad oggi nelle borse merci, o nei borsini privati, con il grano canadese di terza categoria (ricco di Don e Glifosato)!

Per comprendere bene il significato di filiera proviamo prima a capire di che si tratta.

Dato 100 che è il valore del prodotto finale della filiera della pasta, acquistata dai consumatori, il 91% di tale valore copre ciò che avviene a valle della componente agricola della filiera, mentre il 9% copre il costo del grano; agli agricoltori vanno le briciole di questo enorme valore aggiunto. Il grano è considerato come materia prima, input per i successivi processi che avvengono nella filiera (es. la molitura del grano che diventa semola, miscelazione delle diverse semole, produzione e commercializzazione della pasta).

Nella filiera cerealicola italiana, tutte le figure giocano un ruolo. Gli agricoltori tuttavia fanno solo le comparse, mentre gli attori principali sono i commercianti e gli industriali (gli unici che traggono più valore aggiunto, speculando sui produttori e consumatori).

Ci sono quindi le imprese agricole che producono cereali, che possono vendere a intermediari, a commercianti; possono essere riunite in cooperative/consorzi, che raccolgono il prodotto, oppure possono vendere direttamente alle imprese di molitura.

Le cooperative non acquisiscono granella di cereali solo da imprese cerealicole, in conto deposito, ma possono acquistare sul mercato anche da intermediari, possono agire da collettori di prodotto e venderlo a molini e altre categorie di trasformatori. E spesso fittano i silos a terzi per stoccare grano canadese e abbellire i bilanci magri sociali.

Questi canali, a loro volta, sono in comunicazione con le imprese a valle, come panifici/pastifici industriali e panetterie, ma sono anche in comunicazione tra di loro.

Una volta ottenuto il prodotto finito, subentra il dettaglio, la vendita del prodotto finito, che può avvenire attraverso canali di diverso tipo, che diffondono il prodotto al consumatore finale.

L’ ultimo patto salva-granai, segna davvero una tregua in guerra del grano? O è pura operazione d’immagine?

Dalle notizie ANSA di ieri apprendiamo che a Roma c’è stato l’ennesimo incontro per porre una tregua alla guerra del grano con l’ennesimo Protocollo d’Intesa. Ebbene, che senso ha firmare un protocollo, in nome e per conto della propria base, se questi contratti di filiera sono limitati per definizione e non hanno budget ministeriale sufficiente? Non è forse l’ennesimo specchietto per allodole? O una pura operazione d’immagine?

“Va reso più redditizio coltivare il grano in Italia, e va migliorata la qualità del grano duro nazionale, incrementando centri di stoccaggio idonei alla differenziazione delle diverse semole, così come richiesto dalla pastificazione e dal mercato. E’ l’obiettivo del protocollo d’intesa salva granai, sottoscritto da tutte le organizzazioni agricole, salvo Coldiretti, per un totale di 1,1 milioni di aziende agricole, dai 100 pastifici aderenti all’Aidepi (Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta italiane) e da Italmopa (Associazione Industriali Mugnai d’Italia) con 85 molini associati. Un patto volontario che vede l’agroindustria compatta segnare una tregua nella cosiddetta guerra del grano per aumentare la disponibilità di grano duro italiano di qualità e preservare la competitività sui mercati internazionali. L’Italia, è stato sottolineato, è il primo produttori in Europa di frumento duro e leader mondiali nella produzione di pasta ma per restare competitivi ai nostri pastifici servono grandi quantitativi di grani di alta qualità che non sono disponibili nella quantità necessaria in Italia.

“I grani stranieri costano il 30% in più – ha precisato Cosimo De Sortis, Presidente di Italmopa – fa perciò bene a tutti puntare sulla sostituzione totale con semole nostrane”.

“La pasta Made in Italy vale all’estero se di qualità – ha detto il presidente di Aidepi Paolo Barilla – e per noi il mercato appetibile è nell’alto di gamma. Questo progetto si muove su logiche di lungo termine, per rendere più virtuosa, innovativa e competitiva la filiera italiana grano-pasta, e per mettere fine alla guerra del grano interna che non fa bene”.

Per Giorgio Mercuri, presidente dell’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari, “solo i grani di qualità permettono ai nostri agricoltori di rimanere sul mercato. Nel vino chi ha puntato sulla qualità non ha estirpato i vigneti, nella cerealicoltura va fatto lo stesso”. Anche perché, ha sottolineato Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, “il settore è strategico e coinvolge il 10% della superficie agricola italiana, e il Sud o fa grano o fa grano, spesso non ha alternative”.(ANSA).

Pronta la risposta di Granosalus:

Per soddisfare l’appetibilità di ogni gamma serve la CUN e la griglia di qualità, non la filiera!

La tregua nella guerra del grano arriverà solo quando ci saranno regole certe e trasparenti.

Certo la pasta Made in Italy vale sia all’estero che in Italia se di qualità – ribatte il presidente di Granosalus Saverio De Bonis – e anche per noi il mercato è appetibile ma in ogni gamma. Inoltre, di quale qualità parliamo? E con quali strumenti diamo valore alla qualità? il nostro concetto di qualità è che la pasta sia salubre al punto da poterla offrire a tutti i consumatori senza che per questo debba essere arricchita di micotossine e glifosato. Il concetto di qualità industriale è diverso. Attiene ai parametri tecnologici della pasta che nulla hanno a che fare con salubrità e digeribilità. Caratteristiche che vanno garantite a tutti!

Se i ristoranti esteri chiedono una pasta plastificata che resista alla cottura nei secoli, fatela pure ma non è la pasta che vogliono mangiare gli italiani. E noi che siamo i custodi del grano salus abbiamo il dovere di informare i nostri consumatori sul vero significato di qualità.

Al presidente Mercuri  – precisa De Bonis – vogliamo ricordare che solo attraverso strumenti moderni è possibile consentire una valorizzazione dei grani di qualità con cui permettere alle nostre aziende agricole di rimanere sul mercato. Il resto è solo una spericolata operazione a favore dell’ agroindustria che uccide l’agricoltura italiana ed anche la salute dei nostri bambini. In nome del profitto di pochi! Mercuri, in una intervist, aveva annunciato a Gennaio che la CUN sarebbe partita a maggio…ma adesso siamo a dicembre e la Cun non c’è!

Invece a De Sortis vorremmo ricordare che i grani stranieri che costano il 30% in più sono solo un quarto delle importazioni. Il resto (75%) è grano scadente che in Canada non si potrebbe utilizzare nemmeno per i maiali. Perciò è un grano a basso costo dannoso per le nostre aziende agricole e per la salute degli italiani. Ecco perchè farebbe bene a tutti puntare sulla sostituzione totale con semole nostrane”

Non è affatto vero, poi, che servono grandi quantitativi di grani di alta qualità che non sono disponibili in quantità necessaria in Italia. La forte concorrenza internazionale si batte riposizionando il concetto di qualità dando priorità alla tutela della salute dei consumatori, che parte dal grano salus.

Insomma, il mondo agricolo e quello dei consumatori stanno aspettando l’unica conferenza stampa utile al Paese: quella in cui si sancisce il rispetto della legge nei meccanismi di formazione dei prezzi all’ origine (le borse merci sono strumenti desueti!) e si da avvio all’ unico Protocollo sensato: l’ istituzione della Commissione unica nazionale (CUN Grano) con sede unica a Foggia e il recepimento di una griglia di valutazione tossicologica della qualità. Altri gruppi di lavoro sono inutili!

L’ Italia ha davanti a se una grande occasione per diventare punto di riferimento mondiale nella quotazione del grano duro di alta qualità. Non perdiamola!

 

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